Con
occhi di donna
Tradurre è davvero tradire?
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Adesso Un
sorso di arsenico (1)parla
anche inglese ed è diventato
The
lady of poisons (2),
grazie a Lorraine Irene Nicholson, che lo ha tradotto, e a Scrittura
& Scritture che lo ha pubblicato in e-book.
Ecco allora che inizia un’altra avventura per la storia di Giulia
Tofana, la bella palermitana, femminista ante litteram, che
nel XVII secolo inventò un micidiale veleno a cui è ancora legato
il suo nome. Sarà davvero interessante per me, in quanto autrice,
scoprire che accoglienza riceverà sul mercato del libro di lingua
anglosassone. In ogni caso, è pur sempre una grande soddisfazione
vedere le proprie opere varcare i confini nazionali, raggiungendo
– almeno questo è l’auspicio – un pubblico più vasto, lettori
di cultura e mentalità differenti.
Così come è stimolante sfogliare il testo tradotto e
confrontarlo con quello in lingua originale per capire quanto
e come se ne distacchi, visto che nella conversione linguistica
l’insidia è sempre dietro l’angolo, con il rischio di travisare
i concetti, annacquare i significati. O, peccato più veniale,
disperderne le sfumature.
Le gradazioni di significato, infatti, non sempre si ritrovano
nel corrispondente della lingua in cui si traduce. La stessa
cosa vale, spesso, per le frasi idiomatiche, i proverbi e le
espressioni tipiche: nella difficoltà di una trasposizione letterale,
costringono il traduttore a prendersi qualche libertà, sostituendo
un determinato modo di dire con il concetto che più gli si avvicina,
onde evitare frasi dal contenuto incomprensibile o addirittura
ridicolo. Tanto per avere un’idea: una trasposizione letterale
di to have bats in the belfry (avere pipistrelli in un
campanile), sarebbe fuori luogo.
D’altro canto, impossibile
tradurre senza tradire. Soprattutto quando si tratta di opere
di narrativa e di poesia.
Secondario, ma non
troppo, c’è poi il tema del suono. Già, perché una parola, una
frase, un periodo hanno una loro musicalità, un loro tempo,
un loro potere evocativo, perfino un’armonia di vuoti e di pieni,
giochi di contrasti e di assonanze che variano da idioma a idioma
e che nella traduzione – inevitabilmente – vanno perduti.
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La nostra campana
e l’inglese bell corrispondono allo stesso strumento,
ma suonano in maniera completamente diversa. E spesso, proprio
perché ogni lingua ha le sue regole, pure la lunghezza delle
frasi, punteggiatura inclusa, deve piegarsi alle esigenze di
una traduzione corretta, a costo d’essere infedele.
Basta leggere qualche
brano - tanto meglio se a voce alta - per rendersi conto delle
trasformazioni intervenute. Per fare un esempio concreto: il
secondo capitolo di Un sorso di arsenico comincia così:
“In quella domenica d’Avvento, a Palermo soffiava una brezza
pungente e il cielo, immobile, aveva perso colore”. Nella
versione inglese è diventato: "On that Sunday of Advent
in Palermo, a pungent breeze blew in from the sea and the sky
had taken on a washed out colour".
Il senso è rispettato, ma la costruzione della frase ha dovuto
subire qualche rimaneggiamento per potersi adattare alla lingua
della perfida Albione.
Quando, verso la fine del romanzo citato, fra’ Nicodemo, un
tempo amante di Giulia, le chiede se si è mai pentita di aver
trafficato con il veleno, lei risponde: “Ci ho riflettuto
con calma, addirittura con distacco, giungendo infine alla stessa
conclusione di sempre, ossia di aver agito a fin di bene”,
in The lady of poisons recita così: "I have reflected
on them calmly, and even detachedly, finally always arriving
at the same conclusion. What I did, I believed I did for the
good of others".
Tutta un’altra musica,
ma non priva di fascino.
D’altronde, senza la
mediazione dei traduttori, la stessa opera di Shakespeare – soltanto
per citare uno dei più massimi autori della letteratura mondiale
– sarebbe negata a tutti coloro che non hanno dimistichezza con
la sua lingua. E forse il grande scrittore di Statford avrebbe
da ridire su arbitri e infedeltà subite dalle sue opere per mano,
estro e interpretazione di chi le ha tradotte. Chissà cosa proverebbe
– per esempio - nel sentire la terza strega del Macbeth (Atto
I, scena I) che dice: “Prima di notte allora.”, mentre
lui aveva scritto: "That will be ere the set of sun".
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