Per fortuna, nella vita, come nel lavoro – mi si perdoni la
banalità – si cambia. Siamo soggetti mutevoli, esposti a continua
evoluzione. Il cambiamento dovrebbe essere un sano principio
ispiratore per tutti e il panta rei una specie di mantra da
recitare almeno una volta al giorno. Anch’io sono molto cambiata
dal mio primo giorno ex cathedra e ammetto che, da qualche anno
a questa parte, sto rivalutando aspetti dell’apprendimento che
ho ritenuto per lungo tempo obsoleti, come, per esempio, la
cura della grafia o l’esercizio della memoria. Particolare attenzione
sto riservando a quest’ultimo aspetto. Al punto che, non di
rado, chiedo ai miei allievi di studiare a memoria i brani poetici
del programma di letteratura. Si tratta, in realtà, di stralci
di opere, brevi e facili, e adatti a ragazzi di scuola media.
Ciò tuttavia mi rende invisa ai malcapitati, facendomi guadagnare
l’accusa di insegnante severa e – per un’inesorabile legge del
contrappasso – tradizionalista!
Questi contrasti la dicono lunga sulle abitudini dei nostri
ragazzi e sulle loro propensioni ad inoltrarsi nei sedimenti
della conoscenza. Ma non dispero né punto il dito su Internet,
sulla televisione e sulle infinite sollecitazioni multimediali
che tempestano con flusso ininterrotto gli studenti. Sarebbe
peraltro incoerente con le mie abitudini digitali delle quali
non riesco più a fare a meno. Queste frizioni didattiche sono
invece importanti. Sono incomprensioni che servono, incidenti
che suscitano ciò che Popper definiva scoppi di meraviglia,
veri e propri shock cognitivi che inducono i docenti a riflettere
sul proprio operato e, ove possibile, a spiegare le ragioni
di alcune scelte pedagogiche.
Per quanto mi riguarda, quando i miei studenti contestano le
mie sadiche prescrizioni di versi da imparare a memoria, ricorro
alla metafora del muscolo. La memoria, dico, è una sorta di
muscolo. Cosa succede ai muscoli che non vengono allenati? Si
atrofizzano. E quando si atrofizzano non sono più in grado di
svolgere quelle prestazioni elementari che ci consentono di
vivere una vita dignitosa e che, soprattutto, ci rendono autonomi.
Parimenti, la memoria va allenata ed esercitata perché estende
l’area del sapere, e ne rigenera di nuovo, rende solido il pensiero,
più elastica la facoltà di scegliere e più duttili i processi
cognitivi. Se mi si obietta poi che nella vita pratica non è
utile ricordare le terzine della Divina Commedia che parlano
di un vecchio per antico pelo che traghetta le anime dei dannati
da una riva all’altra dell’Acheronte, rispondo che è vero, che
nella vita pratica non serve a nulla saper di Caronte ma che
un cervello abituato a ricordare le cose “inutili” sarà facilitato
a ricordare quelle “utili”. Quanto alla bellezza e all’effettiva
utilità (nel senso del nutrimento dell’anima) dei versi dell’Inferno,
se si ha l’umiltà di accostarsi ad essi senza pregiudiziali,
rassicuro i miei interlocutori che non tarderanno a percepirne
l’essenza e che, forse, in futuro, me ne saranno grati!
Se poi voglio ulteriormente
motivare i miei alunni, faccio presente che una memoria allenata
è fonte di arricchimento del lessico. Un lessico ricco è un
formidabile strumento di pensiero. Un pensiero in movimento
favorisce importanti processi logici, utili in ogni area del
sapere. La memoria, quindi, con un sillogismo chiaro e accessibile
ai ragazzi, si configurerà come un potente dispositivo che dà
una buona mano alla logica per esplorare le diverse aree della
conoscenza.
L’importante, dunque,
è non imporre con modalità apodittiche scelte didattiche e cambi
di rotta. Le date, le nozioni, i toponimi, possono anche essere
ricercati su Wikipedia. Una volta trovati, però, vanno trattenuti
nei cassetti della memoria e di tanto in tanto rispolverati,
insieme agli aneddoti, alle microstorie, e alle vite raccontate
nei romanzi, ai verbi irregolari, alle capitali dell’Africa
e ai nomi delle mogli di Enrico VIII appresi sui libri di testo.
“Abbasso il nozionismo e viva la nozione”, ripeteva un mio vecchio
professore del liceo, le cui convinzioni didattiche ho recuperato
dopo molto tempo. Con questo non voglio dire che ripetere a
memoria La vispa Teresa o i sette re di Roma offra la chiave
per entrare nei territori più profondi della conoscenza: l’apprendimento
mnemonico non è che un supporto a un approccio molto più complesso
col sapere, ma ha un’importanza che non va trascurata e, come
diceva il mio vecchio professore, ha un suo indiscutibile valore
epistemologico.
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