Egografia
di
Gian
Stefano Mandrino
Sono
molti anni che, fastidioso come un tafano, chiedo conto a chi scrive
delle sue parole e del perché le usi.
Ho incontrato molti scrittori. Alcuni lo fanno, pochi lo sono. Chi
scrive per solitudine, altri perché "fa figo".
I più producono opere per "qualche altra vanità"
o solo per partecipare a quei "reading" da pubblicità,
dopo aver comprato, con carta Visa, la penna con cui sbattere sulla
faccia della loro ex la copia autografata del loro primo libro,
che quell'imbecille non avrebbe mai pensato potesse essere pubblicato
(tutto ciò è letteratura allo stato più puro!).
I più teneri sono coloro che scrivono perché la loro
anima gemella ha scoperto di essere gemella di qualcun altro: almeno
hanno il buon gusto di non bere o peggio. Molti cercano il riscatto
di una scolarizzazione negata, altri ancora solo un po' di attenzione.
Qualcuno cerca di rifarsi una vita, altri cercano di essere il personaggio
da interpretare per il resto della loro esistenza. Pochi compongono
per se stessi, alcuni in segreto, molti per gli altri, ma non per
dare "qualcosa", ma per ottenere una qual certa soddisfazione
da quella società, matrigna, obbligata, finalmente, a cedere
loro un quarto d'ora di meritata celebrità. Molti si prendono
così sul serio che non sanno rispondere se interrogati sul
perché scrivino.
Sto comprendendo che non è raro trovare qualcuno che "scriva
bene", ma chi sappia il motivo della propria arte. Non parliamo
poi di chi compone per essere premiato: mi sono sempre chiesto (pur
essendo stato giudice di qualche concorso) cosa significhi fare
"gareggiare" pensieri e parole, ricordi, immagini e fantasie,
ma, soprattutto, credere che si possa essere in grado di "giudicare"
l'altrui creatività. Ciò che mi rende ancora più
perplesso, però, sono coloro che usano di tutto per poter
farsi notare, pensando che comunicare sia apparire e che il mostrarsi
sia utile e faccia "marketing". Giudicano coloro, che
permettono loro la visibilità, degli inferiori al loro servizio.
Sono quei soggetti che vorrebbero "arrotondare" grazie
alle loro produzioni (mentre fino ad ora hanno pagato per farsi
pubblicare), ma, di solito, non si scomodano neppure per inviare
una copia in redazione, salvo il pretendere di essere recensiti,
non facendo conoscere neppure il suono della loro voce (la critica
telepatica è una disciplina davvero difficile), comunque
sempre orfana del lemma "grazie", voce assolutamente inesistente
nel bagaglio lessicale di tale specie. Malgrado mi trattenga dal
giudicare, ammetterò lo schifo procuratomi da quest'ultima
categoria. Ritengo coloro che costituiscono tale gruppo pericolosi
per se stessi e per la società. E' questa la "grande
massa", la bolgia informe , che ti schiaccia, se trova ciò
conveniente. Scrive cose oscenamente banali, dove la pornografia
trova la collocazione etimologica più appropiata. Tale massa
sa essere terribile come solo ogni folla può essere. E' un
partito obliquo: ne fanno parte gli incravattati, quelli che ti
danno subito del "tu", quelli che si credono i "furbi
del globo" e pensano gli altri sempre più fessi, e poi
papponi, lacché, ex reazionari, ex rivoluzionari convertiti
al capitalismo più becero, ex qualcosa e non ancora qualcosa,
e via a collezionare esemplari di qualità varia.
Rari e commoventi, invece, sono coloro che donano se stessi, offrendosi
su di una pagina, alla ricerca di altri, persi tra i persi, per
darsene assieme una ragione: a questi la mia gratitudine, la mia
stima ed il mio lavoro.